Attraverso una crepa

Io persisto e il mio modo di farlo è come una barzelletta sporca o che non fa ridere affatto.
Qualche giorno fa (resto vago) mi affacciai al balcone e urlai a quelle piccole figure animate che sfrecciavano sotto casa mia: “Sto evolvendo, stronzi!”.
Ero nudo, col cazzo di fuori che ciondolava fra le sbarre grigie di ferro annodato. Dovetti gridarlo più volte prima che qualcuno si accorgesse di me. Non mi scappava la pipì in quel momento se no li avrei innaffiati tutti per bene.
Poco dopo, una gran folla di quei puntini si fermò ad osservarmi; chiusi un occhio, puntai il dito su di loro e, presa la mira, iniziai a contarli: “Uno, due, tre, tre e mezzo, tre e un quinto…”.
“Non muovetevi, bastardi!” – dissi sottovoce temendo di perdere il conto.
Dal sesto piano erano tutti grandi quanto dei datteri rinsecchiti.
Quel mucchietto di carne, ossa ed emozioni iniziò a proliferare e a diventare sempre più denso; c’era chi mi dava del pazzo, chi si faceva il segno della croce, ma quasi tutti mi filmavano coi loro cellulari.
Mi sentii una divinità. Alzai le braccia al cielo e urlai: “Siete il mio feedback negativo, siete il mio subconscio”.
Dovete sapere che la mia esistenza non ha mai emesso un suono, è passata silenziosa come un alito di vento su di un sasso. Due anni fa iniziai a contare i miei respiri ma smisi di farlo quando sentii il bisogno di sommarci pure le scoregge.
D’un tratto quel groviglio di esseri umani tremolanti si divise in due parti: sembrava una cellula che stava attuando la mitosi.
Arrivarono tre automobili della polizia, due ambulanze, una sfilza di agenti della municipale e i vigili del fuoco. Gran parte degli abitanti del palazzo in cui mi ero imprigionato diversi anni fa si affacciarono ai propri balconi come api che escono da un favo dell’alveare.
All’improvviso il mantello dell’invisibilità sparì, divenni interessante, divenni qualcosa di cui parlare l’indomani ai colleghi di lavoro o al bar con gli amici o in TV con gli esperti. Divenni un dibattito, divenni un’icona, divenni uno slogan, divenni la linea di confine tracciata per esacerbare una qualche discussione sociale, filosofica, antropologica o psicologica. Fui una parentesi abbellita, scomposta e ricomposta, ingigantita apposta per l’auditel, per un like, per il proprio tornaconto, per ingrassare qualche tasca.

[continua nel mio prossimo libro…]

Scritto e pubblicato il

da Marco Placido Stissi (alias “

“)

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