Pensavo che…

Questa notte sono stato agitato e mi sono svegliato più volte preso a schiaffi da una sequenza costante di pensieri. L’ultima volta che ho aperto gli occhi, quella decisiva per convincermi a tagliare la corda dal letto, erano le 6:14 e i miei organi interni mi chiedevano di rimanere lì e di provare l’ebrezza del letargo. Per un istante ho giocato la carta della tanatosi, ma sono stato sopraffatto da una percentuale di fallimento del 100%.

Per farla breve, alla fine mi sono ritrovato a deambulare verso il bagno per concludere la corsa in cucina, passando fra scatoloni imballati e un caos generale che non sembrava nemmeno tanto distante da quello che alberga dentro di me in questo periodo. Le mura di casa mi sono sembrate più spesse, gli spazi li ho persi di vista e non ho percepito più il profumo che mi faceva dire “sono io”. In questo momento la mia vita è molto simile al gioco “unisci i puntini da 1 a ∞”, ma ho paura di scoprire quale sarà l’immagine che ne verrà fuori, e forse non voglio scoprirlo affatto.

“Voglio essere libero!”, dico, eppure c’è sempre un confine fisico e c’è anche un limite mentale ed emotivo. La libertà, a volte, mi appare come un’illusione, e il benessere che provo quando penso di averla ottenuta mi sembra pura suggestione, ma alla fine mi va bene così perché soddisfa un bisogno, seppur momentaneo.

Mi arriva una e-mail con una graffetta; quell’allegato scomodo sono io ma sei anche tu che leggi ed è anche qualcosa che ognuno di noi deve scegliere se buttare nel cestino, se segnare come indesiderato o se conservare con cura in un archivio.

Dio per me non esiste, l’ho rifiutato già da bambino; se non ricordo male avevo dodici anni quando capii di non volerci avere nulla a che fare. Ho sempre creduto in qualcosa di molto più paradossalmente concreto come l’universo. Eppure, nonostante ciò, mi è capitato di stringere le mani e dirgli quattro parole a quel tizio nell’alto dei cieli; non sono state quasi mai belle parole e non ci ho mai creduto fino in fondo. Poi un giorno ho scelto di essere buddista, ma ho abbandonato pure quel percorso perché mi si è presentato lo stesso fanatismo che avvolge qualsiasi religione. “Die Religion ist das Opium des Volkes”, disse quel briccone di Karl Marx, e aveva fottutamente ragione.

Stasera sto scrivendo pensieri sciolti, senza un filo conduttore preciso, e ciò accade perché sono sulla linea di confine e mi sto soffermando ad osservare tutte le direzioni possibili. Ripenso alle persone che hanno navigato un tratto di vita accanto a me, anche quelle virtuali mai conosciute di presenza o viste solo una volta; ripenso ai loro volti, alle loro parole, a come le ho trattate, al motivo per cui ci siamo perduti senza nemmeno un saluto. Ho capito di essere stato responsabile della sofferenza di qualcuna di esse; così adesso mi va di chiedergli scusa, dal profondo del cuore.

Certe volte non ci rendiamo conto di essere una luce, un punto di riferimento, un sogno, una speranza per qualcuno; allora ci passiamo sopra con la delicatezza di un cingolato solo perché diamo per scontato che l’altro ci viva allo stesso modo con cui noi lo percepiamo. Ora, con questo non voglio dire di avere fatto strage di anime, ma ho capito di aver comunque creato qualche sofferenza, anche se in maniera involontaria. La disattenzione, però, non è una buona scusa e ciò mi rende comunque colpevole!

Mah, se il mio cane fosse ancora vivo, se fosse qui accanto a me, adesso, appoggerebbe il suo musetto sulla mia gamba e ci fisseremmo con gli occhi innamorati, e mi seguirebbe ovunque, e il mio deambulare in casa fra questi scatoloni sarebbe leggero, e le mura sarebbero vele che si spiegherebbero per farmi raggiungere con lui tutti quei luoghi dove ho potuto essere me stesso, e tutto ciò mi farebbe dire “sono io”. Così stasera metto il guinzaglio al mio cuore e mi porto a passeggio verso una notte fatta di pensieri nuovi da annusare e con cui giocare o fatta di pensieri già visti su cui pisciare e andare oltre.

Scritto e pubblicato il

da Marco Placido Stissi (alias “

“)

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