Sapremo prenderci cura l’uno dell’altro?

Affondai la mano nella terra; era umida e piena di vita. Qualche piccolo verme cercava di scappare; avevo disturbato la loro quiete e la cosa mi dispiacque molto. “Adesso tirami su”, disse quel piccolo fiore dai petali bianchi continuando a guardarmi negli occhi, “non avere paura!”. Ero titubante perché temevo di fargli del male. “Perché? Perché desideri che ti colga? Potrei strapparti delle radici se non ti tiro via con la giusta attenzione, potrei ferirti o perfino ucciderti.”, dissi allentando l’intenzione di eseguire quell’azione. “Già, potresti proprio uccidermi! Ma questo piccolo rischio è il prezzo da pagare se ti piacerebbe ch’io fossi tuo, che ti seguissi, che ti tenessi compagnia.”, rispose il fiore scandendo lentamente ogni parola. Intanto due formiche si avventurarono su per il mio braccio ed una terza risalì lo stelo del fiore; cercavano sicuramente del cibo e le loro zampette mi solleticavano. La sua vita era nelle mie mani, la sua vita, in quel preciso momento, dipendeva da me, da una mia scelta. Rimasi ancora a pensare. Il piccolo vaso di terracotta era lì accanto a me, pronto ad accoglierlo, era lì a pochi centimetri dal nostro intimo dialogo, a pochi centimetri da quel bivio che avrebbe cambiato ogni cosa sia per me che per quel bellissimo fiore. “Se scegli di non cogliermi devi tenere bene a mente che qualcuno potrà comunque calpestarmi o che un ramo potrebbe schiacciarmi o che un incendio potrebbe bruciarmi o che la grandine potrebbe spezzarmi e la pioggia potrebbe farmi marcire. Qualcuno potrebbe strapparmi via spezzandomi brutalmente dalle mie radici.”, proseguì dolcemente il fiore. Risposi con voce sottile: “Ma anche io potrei darti poca acqua o troppa acqua, potrei posizionarti in un luogo con poca luce o con troppa luce, potrei inavvertitamente fare qualcosa di sbagliato!” “Allora, dimmi, perché hai pensato di cogliermi se pensi di non riuscire con assoluta certezza di prenderti cura di me?”, mi chiese scuotendosi dai petali un po’ di rugiada. “Perché sei bellissimo! Immaginavo di averti con me in casa così da poterti guardare ogni volta che ne avrei avuto voglia.”, risposi con convinzione. “Ti piacerebbe se io ti chiedessi di rinunciare alla tua casa e di venire a stare per sempre seduto qui accanto a me?”, mi chiese il fiore. “Credo proprio di no! Non sarei libero. Non… non sarei… libero!”, risposti sgranando gli occhi mentre compresi il senso profondo della sua domanda, “Perderei la mia identità, non avrei più tutto ciò che mi serve per vivere, morirei per rendere felice te… e io, giorno dopo giorno, sarei sempre più triste.”. In quel momento, una grossa foglia gialla si posò con prepotenza proprio sopra al fiore. D’istinto la spostai rapidamente; il piccolo fiore perse uno dei suoi bellissimi petali bianchi. “Ohi, che male!”, disse il fiore, “Hai visto? Qui nel bosco la mia esistenza segue le regole naturali della vita. Dimmi, mi vedi ancora bellissimo senza quel petalo?”, proseguì grattandosi con una delle sue foglie proprio là dove c’era la ferita, e aggiunse, “Hai compreso che ciò che accadrebbe a te se restassi qui per sempre potrebbe succedere anche a me se venissi con te. In realtà accadrebbe a chiunque, a qualunque cosa. Una pietra sta dove deve stare così come il vento va dove deve andare, così come il fuoco deve accendersi là dove deve bruciare e l’acqua passare dove deve nutrire, bagnare, spegnere, inondare.”.

Quando quella sera tornai a casa, seduto sulla dondolo nel patio che si affaccia sul giardino, piansi mentre osservavo le stelle in cielo e reggevo un fiore bianco sulla mia mano sporca di terra.

Scritto e pubblicato il

da Marco Placido Stissi (alias “

“)

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